La Moretta

La moretta è una salsiccia tipica della Bassa Valsugana, la cui ricetta, tramandata in modo prevalentemente orale, risale, secondo alcune fonti, al XVII secolo.

Per la sua preparazione vengono utilizzate le parti interne del maiale, cuore, polmoni, lingua aggiunte al guanciale, alla carne della testa e alla pancetta. Le frattaglie devono essere ben pulite da eventuali grumi di sangue, che ne altererebbero ben presto le caratteristiche di qualità, salubrità e gusto. Il polmone deve essere lavorato tagliando le cartilagini più grosse.

A questo punto si deve procedere alla macinatura del tutto, amalgamando le frattaglie con circa il 20-25% di pancetta e guanciale. La macinatura deve essere molto fine. Dopo la macinatura si procede alla salagione e all'aggiunta di aromi e spezie. Il sale deve essere usato con equilibrio, massimo un 2%, visto che la moretta viene consumata molto fresca, e anche l'aglio e le spezie - pepe e pimento - devono essere dosate con moderazione, evitando che un aroma prevalga sugli altri.

Il prodotto così ottenuto viene insaccato in budella di maiale (più fini di quelle della lucanica). La moretta si cuoce alla griglia "su le brase" o in padella e si gusta abbinata alla polenta gialla "de sorgo" o a pane croccante.

Storie di paese sulla moretta

La moretta, anche se ritenuta l'insaccato meno nobile del maiale, fino al secolo scorso rivestiva per l'economia familiare una certa importanza. Infatti questo insaccato veniva consumato per primo, permettendo così di risparmiare le lucaniche, i cotechini e i salumi.

Veniva utilizzata per la prima colazione dei cacciatori e dei carrettieri in partenza per la montagna, o dei contadini prima di iniziare i lavori in stalla e nei campi.

Inoltre era l'unico insaccato concesso generosamente ai bambini, sia perché era molto digeribile, sia perché le morette dovevano essere consumate velocemente a causa della limitata conservabilità. Così "ai bocie i ghe brustolava na feta de polenta e na moreta, e dopo...varda che contenti che i n'dava a scola!"

La storia

La carne di maiale è entrata a far parte nell'alimentazione quotidiana delle classi contadine del nord Italia in tempi lontanissimi.

Durante il Medioevo, grazie ad una serie di fattori l'animale entrò per sempre a far parte dell'alimentazione quotidiana della zona. In quel periodo il paesaggio si stava modificando, la crisi agricola e demografica in corso avevano lasciato lo spazio a grandi aree adatte all'allevamento, mentre le invasioni delle popolazioni germaniche avevano portato nuovi modelli di vita.

I contadini nutrivano le bestie con poco, avanzi della cucina o cibi poveri, ma questi animali fruttavano tanto: grazie a loro le persone potevano alternare la loro dieta, che all'epoca si basava principalmente su polenta di mais, patate, fagioli. Il mese di Dicembre, grazie al clima rigido, ideale per la conservazione dei salumi, era quello prescelto per l'immolazione del "rugante". L'uccisione del maiale era una vera e propria festa a cui partecipavano intere famiglie.

L'importanza dell'evento si capisce anche dalla sacralità e dall'attenzione con cui veniva scelto il giorno. Vi erano due importanti discrimini volti alla selezione della giusta data per l'occasione, perché altrimenti - si diceva - i prodotti non si sarebbero mantenuti: vi doveva essere la "luna buona" (quindi calante) oppure lo si doveva fare lo stesso giorno della settimana in cui sarebbe stato festeggiato il Natale. Fino al 17 di gennaio, non a caso il giorno di Sant'Antonio Abate, protettore degli animali domestici, si poteva procedere al rito annuale.